Non per ordine.
Per rispetto.
Come si piegano le cose che ti hanno tenuto in piedi quando stavi cadendo a pezzi.
Il giubbotto arancione.
Disteso, preciso.
Come un corpo che ha smesso di lottare ma non si è arreso.
Lo ha messo via.
La penna.
Quella con cui non ha scritto niente,
ma che ha tenuto in tasca come un promemoria.
Che forse un giorno lo avrebbe fatto.
Che forse, scrivendo, sarebbe riuscito a respirare.
L’ha lasciata lì, accanto alla cartina.
L’Italia, piegata.
Un angolo sollevato, come se volesse scappare pure lei.
Dentro quella valigia a forma di bara c’è tutto quello che non ha mai saputo dire.
Non è un addio.
È una pausa.
È la voglia disperata di partire senza sputare sul passato.
Perché quel passato gli ha insegnato tutto.
**Anche a metterlo via.**
Ha messo via il rumore del decespugliatore,
le albe su strade che nessuno ricorda,
le notti con la testa che bruciava e il cuore che non rispondeva più.
Non ha buttato niente.
Non ha dimenticato.
Ha solo fatto spazio.
Perché se parte è per partire davvero,
deve svuotare la bara prima di creparci dentro.
Forse tornerà.
Ma se tornerà, sarà con le tasche leggere e la schiena dritta.
Con la valigia ancora piena di tutto,
ma finalmente chiusa.