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Tanto il pagliaccio è fatto per quello

Ridete pure

Ridete pure. Per nascondere la disperazione dietro un naso rosso e due buffonate da quattro soldi. Per farvi ridere mentre dentro muore. E se si ammazza, tanto meglio: uno in meno a disturbare la festa.

Nessuno chiede mai come sta il clown. Perché non si fa. Perché chi intrattiene non ha diritto alla tristezza. Deve essere sempre pronto, sempre disponibile, sempre allegro. E quando crolla, ci scappa pure la battuta: “Oh, che esagerato, era solo stress!”

Ma dentro quella stanza puzzolente di alcol e silenzio, c’è l’eco di ogni risata finta. Ogni “dai, che tu sei forte”. Ogni volta che ha pianto e gli hanno risposto: “Non fare la vittima”. Ha stretto i denti così forte che gli si sono spezzati dentro. E ora non resta che il cappio.

L’immagine è chiara, feroce, nuda. Un pagliaccio impiccato in un mondo che ama gli intrattenitori ma odia chi sente. La società vuole i giullari, ma li vuole muti quando si rompono. Vuole ridere, non capire. Vuole lo spettacolo, non la realtà. E allora eccola, la realtà: appesa a una corda, col trucco sbavato e il cuore che non ce l’ha fatta.

Ridete pure, sì. Ma ricordatevi che ogni clown che si uccide è una sconfitta collettiva. È un urlo che nessuno ha voluto ascoltare. È il prezzo di una cultura che applaude chi finge e ignora chi sente.

La prossima volta che uno ride per farvi stare bene, chiedetegli se ha voglia di parlare. Potrebbe salvarsi. O almeno, non morire da solo.

– Carta Straccia

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