
C’è un detto antico, scritto col carbone sulle pareti dell’anima e col piscio sulle colonne dei templi: “L’uomo stupido si lamenta del buco nella tasca, quello saggio ci infila la mano e si gratta le palle.”
Firmato: Philonapo da Matuglie.
Chi era? Nessuno. Uno come tanti. Ma oggi serve più di Platone.
Perché oggi viviamo nel regno dello stultissimo, del piagnone cronico, del professionista dell’autocommiserazione. Gente che fa la fila alla cassa lamentandosi delle tasse, del governo, dell’inflazione, dell’Inps, del meteo, del vicino col cane, e poi torna a casa e si fotte da solo col telecomando guardando opinionisti prezzolati sputare sentenze da un divano più costoso del reddito di tre famiglie messe insieme.
Il buco nella tasca non è una metafora: è l’Italia. È l’Europa. È questo secolo che va a pezzi e tutti a contare quanti pezzi sono, nessuno che si sporchi le mani per ricomporli o almeno godersi il vuoto.
Philonapo, che forse non è mai esistito, o forse era solo un vecchio ubriaco in una taverna del Friuli, aveva capito una cosa semplice: se non puoi cambiare il mondo, almeno non lasciare che il mondo ti cambi le palle in marmellata.
Ti manca il lavoro? Sei nella merda? Ok, ma tra una lacrima e l’altra, imparati a ridere. Grattati. Prendi quel buco e rendilo tuo. Fallo un varco. Una via d’uscita.
Se non puoi chiudere la tasca, usala.
Se non puoi vincere, almeno sputaci sopra con stile.
Oggi ci vogliono depressi, impauriti, composti. Vogliono che ci vergogniamo dei nostri buchi.
E invece no.
Il vero saggio si infila la mano, ride del disastro, e trova la pace nella carne viva.
Non è filosofia da bar, è sopravvivenza.
Smettila di frignare.
Smettila di aspettare il salvatore, il leader, il bonus, il decreto, il colpo di fortuna.
Hai un buco nella tasca? Bene.
Ora infilaci la mano e riconnettiti al corpo, alla tua bestia interiore.
Grattati. Respira. Ridi.
E poi vai a bruciare le menzogne.
Carta Straccia