
Tic, tac. Morti.
Tic, tac. Morti.
Due vite che evaporano nel nulla ogni battito d’orologio.
Mica metafore. Non è poesia. È la contabilità della falce.
Centocinquantamila al giorno. Sei-mila ogni ora. Un autobus ogni sessanta secondi.
Il mondo non gira: collassa in silenzio sotto il peso dei suoi cadaveri.
E noi? Scorriamo Instagram. Mangiamo sushi. Facciamo piani per settembre.
E il bello – o l’osceno – è che tutto questo non fa più rumore.
Nessun grido. Nessun minuto di silenzio. Solo uno scroll verso l’alto.
Una notifica. Una nuova serie. Un altro giro di cocktail mentre là fuori, in qualche angolo dimenticato, un bambino muore di fame e un vecchio crepa in un ospizio senz’anima.
Ma attenti: questi non sono numeri.
Sono facce. Sono denti rotti. Sono mani che non hanno più chi stringere.
Sono donne in sala parto che non ce l’hanno fatta. Sono operai stritolati da macchine che non si fermano. Sono migranti annegati mentre noi litighiamo su TikTok.
E poi guerre, malattie, pallottole, tagli alla sanità, tagli ai soccorsi, tagli ai sogni.
Sì, magari vuoi sapere anche quante nascite ci sono ogni secondo.
Bene. C’è chi nasce mentre scrivo. Ma non farmi la solita favoletta del ciclo della vita.
Non c’è alcun equilibrio. Non c’è poesia.
C’è solo un sistema che ci divora – e lo chiama “progresso”.
Il problema non è la morte. È come viviamo prima di morire.
Come mandiamo la gente al macello mentre applaudiamo i manager che ottimizzano i profitti tagliando il personale.
Come lasciamo che i potenti ci vendano bare dorate mentre ci raccontano che “siamo tutti sulla stessa barca”.
Bugia. Alcuni stanno in yacht. Altri affogano.
Due persone ogni secondo.
E noi? Sorridiamo per la foto.