
“Cuore dolce… per te… buongiorno.”
Ecco. È così che comincia la violenza: con una frase zuccherata e un’immagine di un gatto.
Ma il gatto, stavolta, non sorride. Ha la sigaretta in bocca, lo sguardo da reduce, e il fiore che dovrebbe regalarti è più morto di lui. E dietro, un’emoji vomita cuoricini in acido.
Perché chiamarlo buongiorno quando l’unica cosa che si muove è la bile? Perché fingere luce quando fuori e dentro è tutto muffa e hangover?
Ogni mattina è una trappola vestita da promessa. Il telefono vibra, il mondo ti chiede “sei pronto?”, e tu vorresti rispondere solo una cosa: “pronto un cazzo.”
Ti svegli e sei già in ritardo per una vita che non vuoi. Il caffè non basta. Il sole ti giudica. I motivatori su Instagram ti danno del fallito prima ancora di pisciare.
E in tutto questo arriva lui: un gattino con gli occhi vuoti e un fiore avvizzito. Non ti dice “forza”, non ti dice “dai che ce la fai”. Ti dice: “ecco, questo è tutto quello che ho. Fumiamoci sopra.”
La verità è che il buongiorno non esiste. Esiste il risveglio del corpo, ma l’anima resta sotto le coperte. Esistono bollette da pagare, treni in ritardo, email passive-aggressive. Esistono gatti stanchi quanto te, che non hanno più voglia di miagolare.
E allora sì, diamoci il buongiorno. Ma facciamolo senza retorica, senza fiori freschi, senza filtri. Con la faccia che puzza di notte, la bocca amara e la voglia di prendere a pugni lo specchio.
A te che leggi, buongiorno. Ma non perché sia bello. Solo perché ci sei ancora.
E tanto basta, oggi, per non buttarsi dalla finestra. Per accendere la sigaretta, scrollare il dito, e sputare un sorriso stanco verso un altro giorno di merda.
Cuore dolce. Per te. Buongiorno.
(Ma sotto sotto… resisti, stronzo.)