In un posacenere scassato, in un angolo dimenticato di una stanza che sa di abbandono e malinconia, ci sono i volti di chi abbiamo spento.
Non metaforicamente. Non col tempo, col destino, con la distanza. Spenti. Come mozziconi schiacciati contro la ceramica sporca.
Persone. Relazioni. Amanti, amici, fratelli, perfetti sconosciuti diventati sacri per un secondo e poi lasciati a marcire. Li abbiamo fumati. Tirato da loro tutto quello che potevamo – calore, emozione, ossigeno – e poi, via. Sputati come nicotina dopo il piacere.
Non è poesia. È il modo in cui viviamo. È il nostro istinto di consumo travestito da sentimento. Ti amo, ti voglio, ti uso, ti tolgo. Quando non servi più, quando inizi a puzzare di bisogno, quando il filtro si satura di dolore… click. Giù nel fumo e nella cenere.
E li guardi, quei mozziconi. Quei piccoli cadaveri con la faccia abbattuta, occhi chiusi, bocche piegate verso il basso come se il mondo gli fosse crollato in gola. Non urlano, non accusano. Ti fissano nel silenzio eterno del rimpianto.
E tu lo sai che ognuno di loro eri tu, anche. Che qualcuno, da qualche parte, ti ha spento allo stesso modo. Ti ha lasciato a metà.
La gente non finisce. La gente la finiamo noi. E poi ci chiediamo perché ci sentiamo soli.
E a spegnere.
E a dimenticare.
Finché non saremo anche noi, un giorno, solo un altro volto muto in quel maledetto posacenere.