
La sindrome del buongiorno col caffè
Ogni mattina, puntuali come la nausea, arrivano.
Gli apostoli della felicità prefabbricata.
Gli spacciatori di “buongiornissimo” e “felice domenica”
con la faccina del cucciolo, la tazza fumante,
e una frase da cioccolatino avariato.
Li vedi? Sempre quelli. Sempre lo stesso schema.
Il copia-incolla del nulla.
Ti svegli col fegato in fiamme, l’anima che ha russato tutta notte sotto un tir,
e sul telefono ti ritrovi quella valanga di merda zuccherata.
Gente che non ti ha mai chiesto come stai davvero,
ma ti manda gif animate con gattini e glitter,
come se bastasse un arcobaleno jpeg per cancellare l’odore della muffa che abbiamo in bocca.
Ma la vita non è quella roba lì.
La vita è l’immagine che hai fatto tu.
La vecchia col fiocco troppo grande, le rughe che parlano più di mille poesie,
i denti caduti e la risata vera.
Quella che scoppia anche se tutto fa schifo.
Che non ha bisogno di frasi ispirazionali,
perché è già sopravvissuta a tutto il resto.
E allora sì, buongiorno ai sorrisi.
Ma quelli storti, spelacchiati, umani.
Buongiorno a chi ride senza motivo, o magari per non piangere.
Buongiorno a chi non finge.
A chi non ti manda cazzate digitali,
ma ti guarda negli occhi e ti dice:
“Resisti, brutto bastardo. Che oggi è domenica, ma l’inferno resta aperto.”
E a tutti gli altri: smettetela.
Smettete di usare la gentilezza come coperta per la vostra vigliaccheria emotiva.
Smettete di mandare finti abbracci, finti pensieri, finti buongiorni.
Cominciate magari col chiedere davvero:
“Come stai, cazzo?”
E magari, se proprio volete mandare un’immagine,
mandate quella vecchia lì.
Perché lei almeno ride sul serio.
E se la vita deve essere una commedia tragica,
allora che rida chi ha già perso i denti.