
Il caffè? È lava. Ti investe come una marea di CHAOS, non ti sveglia: ti affoga. Altro che buon giorno. È guerra, ogni mattina. Ed è tutta interiore.
Ti svegli per combattere un altro giro d’orologio contro il senso, contro la nausea, contro la normalità imposta. Tutto ti chiede di reagire: “FUCK! WAKE UP! COME ON!” ti urlano i post-it incollati sul petto come cicatrici moderne. Ma non è motivazione, è sopravvivenza con lo scotch.
Ti siedi, apri un libro, e ti chiedi perché cazzo lo fai. Per chi. Per cosa. Il lavoro è una giostra rotta, lo studio un mantra che non porta a nulla. Produci, consuma, crepa. Il tutto dentro una tazza troppo grande, piena di merda bollente. La chiamano routine. È solo una condanna a rate.
Hai il caos dentro e fuori. Sui muri, sul telefono, nella testa. Tutto ti dice che sei in ritardo, che non fai abbastanza, che non vali nulla se non rendi. Ma tu sei lì, nudo, impastato di caffeina e panico, con l’alba che ti guarda mentre cerchi di non impazzire del tutto.
Questa non è vita. È un carnevale di richieste inutili, obiettivi tossici, doveri senza anima. Ma se osi fermarti, ti chiamano pigro. Se urli, sei isterico. Se piangi, sei debole. Devi sorridere e fluttuare nel caos come se fosse normale.
Ma non lo è. Non lo sarà mai. E un giorno, tra quella sveglia e quel caffè, qualcuno esploderà. E allora forse il mondo si accorgerà che il caos non è dentro le persone: è nel sistema che le spegne ogni mattina.