
guardi il mondo e capisci che non hai più niente da perdere.
Un momento in cui non ti importa più di sembrare gentile, educato, equilibrato.
Il trauma ti ha sbriciolato le ossa e poi ti ha ricostruito in silenzio, senza anestesia.
Ora cammini storto, ma cammini da solo.
E questo fa paura.
Poi lo vedi.
Lui.
O lei.
O loro.
Quelli che ti hanno detto “è per il tuo bene”,
quelli che ti hanno lasciato solo nel fango
mentre loro si firmavano l’anima in cambio di un contratto a tempo indeterminato
e un abbonamento Netflix.
Quelli che ti parlavano di responsabilità mentre ti accoltellavano la schiena
con la morale da discount.
Quelli che ti guardavano dall’alto
mentre tu annegavi nella merda
e intanto ti dicevano di stare zitto,
di sorridere,
di essere “resiliente”.
Tu li guardi.
Loro sorridono,
magari pure ti dicono “sei cambiato, eh?”.
E lì, Bukowski entra nella stanza con un bicchiere in mano e ti dice:
“Sputagli in un occhio.”
Non per vendetta.
Non per rabbia.
Per
libertà.
Sputare in un occhio è un atto di verità.
Non è violenza, è dichiarazione d’esistenza.
È dire
“io non sono più tuo, stronzetto.”
È l’ultimo gesto sacro rimasto in un mondo
dove anche la dignità è in saldo.
E se ti chiedono perché l’hai fatto,
tu rispondi:
“Perché posso farlo.”
Perché oggi non devo più chinare la testa,
non devo sorridere quando ho voglia di urlare,
non devo sedermi a un tavolo che mi ha sempre tolto il piatto.
Posso sputare, sì.
Posso farlo perché sono vivo.
Perché ho sofferto abbastanza
da permettermi il lusso di non fingere più.
La gente ti dirà che non si fa.
Che è da maleducati.
Che bisogna perdonare.
Fanculo il perdono
quando serve solo a zittire il dolore.
Fanculo il decoro
quando è solo una scusa per non vedere il sangue.
Fanculo le regole
scritte da chi non ha mai avuto fame.
La prossima volta che vedi qualcuno
che ti ha incatenato mentre predicava libertà,
sputagli in un occhio.
E se si offende, digli solo questo:
“Perché posso farlo.”
E poi vattene.
Non devi spiegare niente a nessuno.
Sei già sopravvissuto.
CARTA STRACCIA