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Mi sono tolto il guinzaglio

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Nessuno mi ha applaudito. Ho lasciato cadere la corda come un peso morto, ho detto “basta” come se quella parola potesse bruciare i ponti invece di essere solo un sussurro nel caos.

E ora eccomi qui: un cane senza collare, che annusa l’aria come fosse la prima volta. Non più tirato da una direzione che non ho scelto, ma perso in un incrocio di strade che potrebbero portarmi ovunque, o da nessuna parte.

La trappola? L’ho smontata io. Mattone dopo mattone, con le peggiori paure, come tutte le libertà più spaventose. Pensavo che tenere duro fosse un superpotere. Che dire “ce la faccio” mentre ti sanguinano le gengive fosse segno di carattere.

Che idiota.

Ora cammino con le ossa rotte ma senza sorriso di cartapesta, senza niente da tirare, senza niente da controllare. Né il sonno che non arriva, né la rabbia che rode, né la voglia di sparire in un bar alle 10 di mattina. Perché quella voglia, alla fine, era solo la paura di non avere più scuse per non vivere.

E la verità più dolce? Se domani mi sbriciolassi, il mondo continuerebbe a girare. Ma io no. Io sarei finito. E forse è proprio questo il punto: smettere di fingere che resistere sia vivere.

Mi sono slegato da solo.
E ogni mattina mi guardo intorno, cercando di ricordare come si fa.

L’unico atto di ribellione rimasto è iniziare.
Strapparsi il guinzaglio, sputare per terra, e smettere di credere che essere un uomo significhi “resistere a tutti i costi”.

Forse l’unica cosa da salvare, alla fine, è il coraggio di perdersi.

E anche quello, a volte, è già troppo.

P.S. Seneca aveva ragione. Ma anche un ubriaco al bar alle 3 di notte a volte dice cose sagge. La differenza è metterle in pratica.

Buona fortuna con il tuo blog.

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