Non ti hanno chiesto niente.
Non un parere, non un consenso, non una firma.
Hai aperto gli occhi, hai gridato, e loro hanno detto: “è vivo”.
Col cazzo.
La verità è che eri già morto.
Appena nato.
Sapevano già tutto di te: il nome, il cognome, il codice fiscale, il vaccino obbligatorio, la scuola pubblica, il contratto a tempo, la bolletta della luce, la badante che ti cambierà i pannoloni.
Altro che “sei vivo”.
Sei un conto alla rovescia col cordone ombelicale.
—
Ti dicono che devi vivere al massimo.
Ti fanno vedere le pubblicità con la gente che sorride mangiando yogurt probiotico e salta da una montagna all’altra.
Poi ti danno un mutuo a 35 anni e ti spediscono in ufficio a morire a rate.
Ma intanto ti vendono il veleno nel pacchetto da 20, il cibo nella plastica e la felicità a rate con la carta revolving.
—
La verità, amico mio, è che la morte non arriva alla fine.
È lì, seduta accanto a te, da quando hai messo piede qui.
Ti accarezza la testa ogni volta che sbagli strada, ti sussurra all’orecchio quando stai per dire la cosa giusta ma ti mordi la lingua.
Ti aspetta, certo. Ma intanto ti accompagna. È la tua ragazza fissa.
Quella che non ti lascia mai.
—
Sai cos’è la vita?
È un’intervista senza domande.
Un gioco truccato.
Un campo minato dove ti dicono che puoi correre libero, ma ti fanno saltare appena metti il piede fuori dalla linea.
E allora che si fa?
Si vive lo stesso.
Ma con le palle.
Con le lacrime.
Con le bestemmie.
Con l’amore.
Con l’istinto.
Con la rabbia.
Con la voglia di sputare in faccia al sistema ogni volta che ti dice “abbassa la voce”.
Perché se sei già morto, tanto vale essere indimenticabile.