Lo chiamano il Circolo della Speranza.
Un nome da dopolavoro, da tombola parrocchiale. E invece si gioca alla roulette russa.
Uno si siede, prende la pistola, la carica con una pallottola, gira il tamburo e ci appoggia il ferro alla tempia. Click. Oppure bang.
Tutto qui.
Chi perde, smette.
Chi vince, continua a giocare.
Chi guarda, fuma.
La Morte, quella stronza, se la ride nel mezzo, con la sua falce appoggiata al muro e il sigaro acceso. Ha un debole per gli umani: sono gli unici animali che giocano a morire per sentirsi vivi.
Nel Circolo della Speranza non si parla.
Si mastica silenzio e si sputa fumo.
C’è chi ha perso un figlio, chi ha perso un lavoro, chi ha perso la testa, chi non l’ha mai avuta. Non importa.
Lì dentro siamo tutti uguali: un colpo su sei.
Hai una possibilità.
Una su sei di smettere.
Cinque su sei di dover ricominciare.
E non è detto sia meglio.
E allora perché lo fanno?
Perché ci vanno?
Perché ci stai andando anche tu, col dito che scorre questo articolo come se cercasse il coraggio tra le righe?
Perché la speranza è una puttana.
Ti si siede in braccio, ti sussurra all’orecchio, ti fa credere che ce la farai.
Poi ti lascia lì. Con la faccia sudata, il cuore in gola, e la pistola carica.
Benvenuto al Circolo della Speranza.
Ti stavamo aspettando.