Nudo, sorridente, immerso fino al collo nella propria merda e convinto di essere in un centro benessere. Ha scambiato la cloaca per una spa, la decomposizione per una terapia. E mentre il mondo brucia, lui chiude gli occhi e respira a fondo, come se l’odore di putrefazione fosse incenso.
“Questo qui non è un illuso, è un complice. Sa benissimo che puzza, ma ha deciso di chiamarla aromaterapia esistenziale.”
È il trionfo della dissonanza cognitiva: se sorridi abbastanza forte, puoi convincerti che la merda sia fango, che la schiavitù sia flessibilità, che la fine del mondo sia solo un brutto momento. È la versione adulta di chi chiudeva gli occhi da bambino sperando di diventare invisibile. Solo che ora, invece di nascondersi dai mostri, si nasconde dalla realtà.
Abbiamo costruito un intero sistema per anestetizzare il disgusto.
Ti vendono la merda come fosse cioccolato, la gabbia come fosse libertà, la morte a rate come fosse vita. E tu, invece di vomitare, compri il pacchetto premium.
Perché? Perché è più facile fingere che lottare. Perché se ammetti che è merda, devi uscire dalla vasca. E fuori fa freddo, non ci sono like, non ci sono filtri, non ci sono influencer che ti dicono quanto sei bravo a sopravvivere.
(Sputo nella vasca, guardando il mio riflesso deformarsi tra le bolle di gas intestinale.)
“Allora, campione, ti piace il tuo bagno caldo? L’hai riempito con le tue stesse stronzate, giorno dopo giorno, e ora ci nuoti come un fottuto delfino addomesticato. Cristo, almeno i maiali sanno di essere nel letame. Tu no. Tu ti ci masturbi, pensando di essere illuminato.”
(Accendo una sigaretta con un fiammifero bagnato, la fumo fino al filtro.)
“La verità? Non sei un ribelle. Sei un collaborazionista con un account WhatsApp. Hai preso la merda del sistema, ci hai messo sopra una candelina, e hai detto: ‘Ecco la mia torta di compleanno’. E intanto ti stai mangiando la tua stessa merda, un boccone alla volta, convinto che sia caviale.”
(Butto la cicca nella vasca, guardandola galleggiare accanto al tuo sorriso.)
“Ti dico una cosa, amico. L’unica differenza tra te e un cadavere è che il cadavere almeno non sorride mentre marcisce. Tu sì. E lo fai per i like, per gli applausi, per la stupida, patetica illusione di essere qualcuno mentre affondi.”
(Mi allontano, ma mi fermo sulla porta, senza voltarmi.)
“Alzati. Adesso. Prima che la merda ti arrivi alle narici. E quando sarai in piedi, bagnato e tremante, forse—solo forse—capirai che l’unica terapia che vale qualcosa è quella che ti fa sentire il fetore. Tutto il resto è solo un suicidio a rate, con tanto di playlist motivazionale.”
(Esco, sbattendo la porta. Fuori, almeno, l’aria puzza solo di smog e disperazione. E quella, almeno, è vera.)