A schiena dritta e denti stretti,
col fango sotto le scarpe
e la rabbia negli occhi.
Un altro figlio di cane
che il sistema non è riuscito a spezzare,
ma nemmeno a tenere.
E allora sei stato tutte e due le cose:
il bastardo che rompe
e il fratello che non molla.
Hai fatto entrare i sindacati nella giungla della Sever.
Hai portato dentro la voce, il casino,
il fiato corto di chi non ce la fa più a stare zitto.
E adesso te ne vai.
Cinque mesi dopo.
Troppo tardi per essere solo un caso,
troppo presto per essere una fuga.
E mentre tutti si chiedono se tornerai —
perché sì, non è la prima volta,
e la Sever è un buco nero che risucchia chi ci ha lasciato l’anima —
a noi resta questa sensazione amara,
questo dubbio incazzato:
Sei andato via perché volevi,
o perché ti hanno fatto sentire che era ora?
- Hai rotto il silenzio dove tutti stavano zitti.
- Hai morso dove ci insegnano a leccare.
- Hai preso calci, ma non ti sei messo a cuccia.
- E adesso te ne vai, randagio, ma col sangue ancora in bocca.
Non c’è più bisogno di parlare di padroni,
perché oggi il vero padrone non ha faccia.
È un decespugliatore, un trattore
e il cazzo di sistema che decide chi resta e chi sparisce.
Il sistema ti ingoia, ti risputa,
e poi ti offre pure una pacca sulla spalla.
Ti fa sentire in colpa per aver chiesto troppo.
Come se dignità e salario fossero un capriccio.
Tu, Ivo,
sei stato un figlio di puttana a modo tuo.
Uno che non ha mai chiesto scusa per esistere.
Uno che ha fatto il rumore giusto nel posto sbagliato.
E per questo, ora, cammini via come il cane nell’immagine:
senza guinzaglio, senza padrone,
ma con addosso tutte le cicatrici che ti sei guadagnato.
A chi resta in questo posto
A chi resta in questo posto — o in qualunque altro —
non serve il tuo esempio da martire.
Serve la tua rabbia.
Ciao Ivo.
Fratello randagio.
Figlio di puttana giusto, in un mondo sbagliato.